“Dobbiamo favorire lo sviluppo e le economie dei territori e delle imprese virtuose e non quelli di interessi “particolari”, deve essere il pubblico che deve valutare i fabbisogni, pianificare e dire ai privati cosa fare e dove farlo e mai al contrario (come succede oggi)”.

Il rifiuto nasce da un errore di progettazione, per questo il miglior modo (forse l’unico modo) per gestirli è in realtà produrne meno. È quello che prevede l’Economia Circolare, che è nuovo modo di approcciarsi alla gestione dei rifiuti. La riforma dei rifiuti di Musumeci nasce – quindi – già superata.

Conferenza stampa del capogruppo Francesco Cappello e dei componenti della commissione Ambiente: Giampiero Trizzino, Nuccio Di Paola, Stefania Campo e Valentina Palmeri.

Impianti e personale congelato per nove anni e una spaventosa massa debitoria da 2 miliardi di euro sono le principali questioni che non vengono risolte dalla nuova legge in discussione all’Ars.  La riforma del settore rifiuti proposta dal governo Musumeci non ha né capo né coda, non risolve praticamente nulla, anzi probabilmente peggiorerà la situazione attuale. Sul ddl gravano 700 emendamenti e altri 40 di riscrittura, di iniziativa governativa e con questi presupposti non può essere affrontato dall’aula. L’unica via possibile era far tornare la proposta in commissione Territorio e Ambiente, proposta appena bocciata dall’aula.

Proprio per queste ragioni è stato rifiutato il confronto che Musumeci aveva chiesto sulla riforma: un tentativo maldestro e tardivo di discutere in sedi private – una volta scaduto il termine per presentare emendamenti, quindi a giochi chiusi – quello che deve essere affrontato nella sede istituzionale opportuna, cioè la commissione.  L’abnorme quantità di emendamenti indica che il governo è confuso, non è d’accordo con sé stesso. Proprio quello che si era proposto come il governo delle riforme, al banco di prova della riforma rifiuti fa flop, con un disegno di legge che sulle questioni principali non fornisce risposte concrete e non supera i problemi che si sono verificati a causa della incompleta applicazione della legge 9/2010.

Almeno tre i fronti più critici: il personale (migliaia di impiegati dovranno sottoporsi ad un concorso pubblico), gli impianti (la cui proprietà e il passaggio tra Ato e i nuovi soggetti gestori non viene per niente chiarito) e la spaventosa massa debitoria di 2 miliardi di euro accumulati dai Comuni nei confronti delle ex Ato. La riforma creerebbe ambiti territoriali coincidenti con le province, un retaggio del passato, condannato più volte dalla Corte dei conti e dal ministero dell’Ambiente. Dei nuovi soggetti gestori, le Ada, i tempi di attuazione sono del tutto indefiniti. Infine, e non certo in ordine di importanza, non ci si allinea alle direttive sull’economia circolare, in corso di recepimento a livello nazionale, concependo così una riforma già carente e superata. La soluzione più ragionevole era ricominciare da capo, facendo ripartire l’iter dalla commissione.