Articolo di Salvo Palazzolo per la Repubblica – Palermo – “Paolo Arata, il consigliere per l’energia di Matteo Salvini, aveva un grosso problema in Sicilia: i grillini.
Una deputata regionale, in particolare, Valentina Palmeri, che con le sue denunce stava facendo saltare il business del biometano nel cuore della provincia di Trapani. Era l’affare che univa Arata a Vito Nicastri, l’imprenditore vicino all’entourage del latitante Matteo Messina Denaro. Anche questo racconta l’indagine della procura di Palermo e di come il consigliere di Salvini finì per condizionare un paragrafo del contratto dell’attuale governo per salvare i suoi affari.

In quei giorni di aprile dell’anno scorso, Arata era su tutte le furie per le battaglie della Palmeri, lui e il suo socio indagato per mafia avevano già fatto molti investimenti per realizzare un impianto a Calatafimi. Intanto, a Roma, l’alleanza Lega-Cinque Stelle era cosa fatta. E fu allora che il consigliere faccendiere alzò l’ingegno. Contattò l’amico Armando Siri, per una missione speciale: far inserire nel programma del nuovo governo un passaggio sul biometano.

E la missione venne portata a termine con successo. Questo fu scritto: “Verranno valutate sperimentazioni sul ciclo di vita di impianti a biometano”. Quando Siri comunicò che era cosa fatta, Arata esultò. “Così li freghiamo”. Quel passaggio nel contratto di governo doveva diventare la carta vincente per bloccare la grillina ficcanaso che aveva iniziato a indagare sullo strano progetto di Calatafimi, chiedendo gli atti alla Regione. Ma Arata aveva fedelissimi anche lì, pagati a suon di mazzette, e le carte sul biometano non vennero fatte vedere alla deputata. Intanto, però, le microspie della Dia di Trapani registravano ogni parola.

Un amico al governo
Qualche giorno dopo, fu Siri a chiedere aiuto all’amico Arata, puntava a un posto di ministro. Lo sollecitò a mettere in campo le sue amicizie americane. E il consigliere di Salvini non se lo fece ripetere, ottenendo per Siri quel posto di sottosegretario alle Infrastrutture che oggi occupa. È un altro capitolo delle intercettazioni oggi all’esame dei pm di Roma, che hanno indagato il sottosegretario per corruzione dopo aver ricevuto gli atti da Palermo. È la storia della mazzetta da 30 mila euro che sarebbe stata consegnata a Siri per un altro favore, l’emendamento sull’eolico che doveva sbloccare tanti finanziamenti.
Della tangente Arata parla al figlio di Vito Nicastri, rassicurando sul buon esito dei loro affari: “Ci pensa il nostro amico”. Siri, un amico al governo. Ma anche questa volta, i grillini bloccarono i progetti di Arata. Per ben quattro volte, fermarono gli assalti del sottosegretario per l’emendamento.

Il salotto del faccendiere
È una storia di grandi relazioni quella raccontata dall’inchiesta che oggi vede indagato il consigliere di Salvini per intestazione fittizia con l’aggravante di mafia. In Sicilia, Arata aveva inviato il figlio Francesco, che aveva preso casa a Castellammare per tenere i contatti con i Nicastri. A Roma, invece, il professore faccendiere faceva continuamente inviti nel suo elegante appartamento nella zona di Villa Torlonia. Grazie ai contatti dell’altro figlio, Federico, ricevette Steve Bannon, il guru di Trump che aveva appena incontrato Salvini.

A casa Arata è stato ospite anche un altro americano influente, il manager di una società di contractor, non è ben chiaro perché. Intanto, il faccendiere parlava con il cardinale Raymond Burke e organizzava una cena in Vaticano, un altro incontro tutto da decifrare. Paolo Arata stava ore al telefono, e non sospettava di essere intercettato. Un giorno chiamava Gianni Letta; un altro giorno, l’assistente del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti. Conversazioni che non hanno alcun rilievo penale, ma offrono un ritratto del principale protagonista di questo caso.

La bonifica
Arata era un vulcano di iniziative, puntava ai vertici dell’Arera, “l’Autorità di regolazione per energia reti e ambienti”, era stato proposto dalla Lega, ma lui cercava altri appoggi. Intanto, il figlio Federico era di casa a Palazzo Chigi, anche quando non aveva ancora il contratto di consulenza.
Un giorno, poi, all’improvviso, il panico a casa Arata. Il padre si insospettì, fece fare una bonifica nella sua auto e trovò una microspia. Un altro giorno, scoprì di essere pedinato. Ma non si preoccupò più di tanto: “Saranno i servizi segreti – sussurrò – per i nostri amici che vengono a casa”. E continuò a fare i suoi affari in Sicilia.”